Leggere e ri-leggere i testi

“Una testualità forte, matura, approfondita”: è su questa base che avete costruito l’antologia?

La scuola chiede un tipo di lavoro che noi chiamiamo “rilettura dei testi”. Leggendo, infatti, il lettore formula una prima ipotesi di significato su quello che ha letto, ma questa ipotesi va verificata ritornando sul testo.
L’analisi è lo sviluppo del rapporto tra me e il testo, è un dialogo. Il testo pone delle domande a me, io pongo delle domande al testo.
Questo concetto di analisi cerchiamo di farlo vivere negli apparati didattici, pensati non per vivisezionare un testo – l’analisi di un testo non è un problema di soppesare ogni particolare o di incasellare e classificare ogni aspetto della forma e del contenuto –, ma è il tentativo sistematico di coglierne il significato, cioè il rapporto con me lettore e interprete, perché il senso è sempre un rapporto.

Dunque occorre l’impegno del lettore nella lettura.

La nostra esperienza di fruitori di testi ci porta a considerare determinante nella costruzione del senso testuale il rapporto che da lettori instauriamo con le parole di un autore. Si pensi anche solo alla diversa comprensione dello stesso testo letto in momenti differenti della vita o, come docenti, all’effetto di senso ottenuto leggendo uno stesso testo in diverse classi o a ragazzi di età diverse. Con ciò naturalmente non si vuole negare la presenza di segnali testuali che manifestano l’intenzione dell’autore o indirizzano il lettore verso una comprensione maggiore del testo, ma si vuole portare l’attenzione su quel rapporto, a tratti misterioso, tra testo, autore e lettore.

Cos’è propriamente un testo?

Testo deriva dal latino textum, ‘tessuto’, ‘intrecciato’, da texere, ‘tessere’. Un intreccio di parole generalmente riceve il nome di testo quando comunica un senso, un significato unitario.
Un aiuto ad approfondire questo rapporto tra testo e tessitura, intreccio, è contenuto nel primo capitolo dell’autobiografia romanzata del poeta contemporaneo Pierluigi Cappello, in cui narra del suo incontro con Silvio, un cestaio: «Come lui intrecciava le festuche secondo un ritmo, così io cerco di intrecciare le parole secondo un ritmo. Come lui lasciava un’impronta di sé nell’intreccio, così io spero di lasciare l’impronta di un mio respiro nelle parole che ho sottratto al bianco del foglio, per sottrarre dal silenzio qualcosa dei lineamenti della sua esistenza».
È evidente nel paragone tra l’attività del cestaio e quella della scrittura che l’esito di entrambi i lavori, cesto e testo, vive e si completa in una prospettiva di interazione fra chi lo produce e chi ne usufruisce. Forma e funzione vivono l’una dell’altra.
Fuor di metafora possiamo dire che il testo non è un organismo autosufficiente, che prende forma e svolge la sua funzione a prescindere da chi lo produce e da chi lo ascolta o lo legge.

Come si traduce tutto questo a livello didattico?

Gli apparati didattici che ci sono nell’antologia propongono allo studente di partire da quello che ha capito a una prima lettura e pian piano lo guidano a tornare sul testo per verificare la comprensione del significato globale, attraversando tutti i significati particolari del testo. Questa è la nostra idea di “rilettura”, che non vuol dire semplicemente leggo due volte per capire.
La prima volta invitiamo a leggere o ad ascoltare la lettura del testo che fa l’insegnante, dopo si propone un lavoro di riflessione: “Io ho inteso che questo personaggio cambia, che da triste diventa allegro. Ma perché succede questo? Che cosa provoca questo cambiamento?”. Torniamo sul testo, andiamo a vedere le parole che ci dicono prima la sua tristezza, poi la sua felicità, andiamo a capire cosa è successo, quale evento ha cambiato il suo stato d’animo. E tutto questo lavoro di ricomprensione è guidato da domande formulate con certi criteri, non per dare la soluzione al ragazzo, ma perché il ragazzo trovi lui la soluzione nel testo.

Puoi approfondire?

Se una delle grandi funzioni della lettura è quella di offrire all’alunno una categorialità più ricca, cioè dotarlo di strumenti di lettura dell’esperienza, la lettura non può ridursi a puro intrattenimento, ma occorre fare una reale esperienza di testualità, entrare a far parte del testo. Una volta letto il testo, per vedere come va a finire, ritornare a leggerlo per verificare l’ipotesi di significato intuita.
La rilettura è tanto più formativa ed efficace quanto più si configura come attività diversificata, rilettura alla ricerca di risposte, scrittura, drammatizzazione, illustrazione, discussione, per una comprensione approfondita del testo, di ciò che in esso vi è di esplicito e di implicito, fino al paragone con l’esperienza di vita e con le domande effettive dei lettori.

In un certo senso avete ingaggiato una battaglia contro la superficialità.

Certo. Peraltro di questa superficiale capacità di lettura sono vittime anche gli adulti, non solo i ragazzi, nella nostra società. Tutto il problema delle fake news nasce proprio da questa superficialità, da questa non volontà di verifica: chi va a verificare le fonti? Chi va a paragonare fra loro i testi? Chi arriva semplicemente in fondo alla lettura di un testo prima di dare un suo giudizio, un suo parere? Questo è un problema della nostra società. C’è come una reazione di pancia alle notizie, alle comunicazioni, ai testi, che nei ragazzi si vede esponenzialmente, ma non è diverso negli adulti. E la scuola può far tanto per questo, perché ha il tempo disteso per scegliere dei testi belli, importanti, farci un lavoro sopra, far vedere quanto e come stare di fronte a un testo.

È per questo che proponete testi integrali?

Abbiamo verificato quanto sia efficace, per favorire l’instaurarsi di un rapporto reale tra lo studente e il testo, per disporre lo studente a ospitare il mondo possibile che il testo incarna, leggere testi integrali in un tempo disteso.

Non è infatti facile trovare dei manuali che salvaguardino un giusto equilibrio tra chiarezza espositiva e profondità del contenuto, che siano di aiuto al docente per invogliare gli studenti alla conoscenza, la cui ricchezza lessicale apra nuove prospettive, fornisca parole con cui capire il mondo e sé stessi. Le parole infatti non servono solo per comunicare, ma sono l’alveo stesso in cui il pensiero si forma, come ben illustra F.X. Bellamy, nel suo libro I diseredati quando dice: «Servono parole per pensare ciò che si è e per sapere di essere. Per conoscere il mondo e anche per essere sé stessi, ci servono le parole degli altri».

Ma come reagiscono i ragazzi a questo lavoro?

Si appassionano! L’analisi diventa interessante quando non è fine della didattica, ma strumento di verifica nel particolare del senso universale che inevitabilmente si coglie quando si dà ospitalità al testo, come suggerisce Lewis, quando dice: «L’effetto deve precedere il giudizio sull’effetto. Lo stesso vale per un’opera intera, idealmente dobbiamo prima accoglierla e poi valutarla, altrimenti non abbiamo nulla da giudicare». Ancora Lewis dice: «La reazione di uno scolaro intelligente [questo è rivoluzionario per la didattica] di fronte a un libro è espressa più spontaneamente dalla parodia o dalla imitazione. La condizione necessaria per leggere bene è ‘farci parte’; noi non aiutiamo a sviluppare questa capacità nei giovani se li costringiamo ad esprimere continuamente delle opinioni». Entrare nel testo, far parte di esso, immedesimarsi, non appena esprimere delle opinioni su di esso, dei commenti reattivi e non fondati sugli indizi testuali.

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