I nostri punti di riferimento

Le due pagine dal titolo “Caro amico…”, con cui si apre il primo volume di quest’opera,  sono ovviamente rivolte in particolare agli studenti. I docenti non faticheranno tuttavia a trovarvi gli echi degli autori e delle scuole di pensiero cui ci siamo riferiti. Sono riferimenti che comunque ci sembra utile esplicitare sia per rendere più immediato il giudizio critico sul nostro lavoro e sia per facilitare  eventuali ulteriori approfondimenti da parte di chi a ciò sia interessato.

Diciamo in primo luogo che, facendolo nostro, ci siamo posti nell’orizzonte indicato da Marc Bloch (1886-1944) e da Henri-Irénée Marrou (1904-1977). Del primo, studioso ma anche militante della Resistenza francese morto fucilato dai nazisti, ricordiamo qui in particolare il saggio postumo Apologie pour l’histoire ou métier d’historien, l’opera rimasta incompiuta e uscita poi nel 1949. Col titolo Apologia della storia o mestiere dello storico venne pubblicata in italiano da Einaudi. L’edizione più recente – basata sul testo redatto dal figlio di Bloch, Etienne, nel 1993 – è quella, se non andiamo errati, del 2009. Di Henri-Irénée Marrou segnaliamo innanzitutto De la connaissance historique, 1954 (La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1988). Ebreo Bloch e cristiano Marrou, entrambi si interrogano sul senso della storia a partire dai loro rispettivi punti di vista delineando un metodo e giungendo a conclusioni spesso sorprendentemente simili. L’uno e l’altro aprono la via verso l’ École des Annales, la grande scuola storiografica facendo a grandi linee riferimento alla quale abbiamo lavorato; pur senza la pretesa di esaurirne la lezione né di identificarci in essa passivamente. In tale prospettiva ci siamo rifatti in primo luogo al pensiero e alle opere di Fernand Braudel e di Jacques Le Goff; poi di Régine Pernoud, di Léo Moulin e così via. Per quanto attiene alla storia delle religioni, e più ampiamente all’esperienza del sacro, abbiamo preso le mosse da Julien Ries e quindi indirettamente anche da Mircea Eliade. Senza ovviamente pretendere di conoscerla a menadito, di tutti questi autori, e di altri a loro vicini, possiamo però affermare di aver per così dire esplorato l’opera. Chi scrive ebbe poi pure modo di incontrare Régine Pernoud, Léo Moulin e Julien Ries, e con questi due ultimi di avere ampia consuetudine. Fondata da medievisti, l’École des Annales è soprattutto ricca di riflessioni e di opere sul Medioevo. Questo però non significa affatto che non abbia niente da dire e da dare riguardo al resto della storia; ciò sia perché delinea un metodo e un orizzonte che valgono per qualsiasi epoca, e sia perché tutti i maestri degli Annales hanno dedicato riflessioni e pure specifici scritti ad altri periodi storici, compresa la contemporaneità. E sia perché infine altri ottimi autori di analogo orientamento, dei quali abbiamo tenuto conto, si sono dedicati ad altre epoche. Li citeremo eventualmente in seguito se ce ne dovesse essere l’occasione.

Presentiamo a questo punto il nostro bagaglio con brevi cenni rinviando a saggi di specialisti chi voglia andare ben oltre questa prima  modesta documentazione.
Con La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, edito nel 1949, Fernand Braudel (1902-1985) inaugurò, come noto, un nuovo modo di fare storia non più centrato sulla sfera del potere e della politica. Per lui viene prima la storia lentissima delle relazioni tra l’uomo e l’ambiente, poi quella soltanto un poco più veloce della società, e infine quella del potere e della politica, che rispetto alle prime due è come il moto delle acque di superficie rispetto a quello delle acque profonde. In sintonia con tale visione, nella fondamentale opera più sopra ricordata (traduzione italiana: Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino, 1953) il protagonista non è, come ci si sarebbe attesi, Filippo II bensì il Mediterraneo visto nel suo paesaggio fisico come in quello umano come  “un sistema dove tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale”.
Al primo grande continuatore di Braudel, Jacques Le Goff (1924-2014), si deve il definitivo superamento del perentorio giudizio negativo sul Medio Evo come età “oscura”. Dopo la pubblicazione nel 1964 del suo La civilisation de l’Occident médiéval, Arthaud, Paris 1964 (traduzione italiana:  La civiltà dell’Occidente medievale, Sansoni, Firenze, 1969), un giudizio del genere non ha più senso. In ambito minimamente colto nessuno si arrischia più a darlo, quale che sia la sua visione del mondo. Che esso continui a ricorrere sui giornali e nelle trasmissioni colloquiali radiotelevisive è soltanto una riprova di quanto spesso la vulgata dei media sia in ritardo rispetto agli esiti della ricerca e della cultura più avvertite. La sua vastissima opera è quasi tutta accessibile in italiano.
Soprattutto, ma non solo, allo studio del ruolo della donna si dedicò Régine Pernoud (1909-1998). A lei si deve la riscoperta della centralità della famiglia nella società medioevale e della condizione privilegiata della donna dentro di essa. Esemplari furono i suoi studi, oggi quasi sempre accessibili anche in italiano,  su grandi figure femminili come Eleonora d’Aquitania, Matilde di Canossa, Ildegarda di Bingen, Giovanna d’Arco, Caterina da Siena. Fu lei a dimostrare come l’arretramento della posizione civile della donna sia un fenomeno tipico non del Medioevo bensì dell’età borghese, che non a caso inizia con il Codice Napoleone.
Collocandosi nella medesima scia, Léo Moulin (1906-1996) prende egli pure le mosse dallo studio del Medioevo (Saint Benoît, père de l’Occident, Zodiaque, 1980, L’Europe des monastères, Zodiaque, 1988, di cui è co-autore insieme a Raymond Oursel), editi in italiano da Jaca Book. Poi però estende la propria ricerca fino alla storia contemporanea e all’attualità (Aux racines profondes de l’Europe, Fondation Jean Monnet, 1988). Frattanto si applica con risultati interessanti e notevoli anche ad argomenti come la vita quotidiana, la commensalità, la gastronomia. Come Le Goff, anche Moulin riscopre da “laico”, per onestà intellettuale e non per urgenze apologetiche, il valore del Medioevo e delle radici cristiane dell’Europa : un’esperienza che egli rievoca nel suo libro-testamento, Libre parcours – Itinéraire spirituel d’un agnostique, Racine, 1995 (traduzione italiana : Itinerario spirituale di un agnostico, Leonardo/Mondadori).
A Julien Ries (1920-2014), belga francofono come Moulin, storico delle religioni e fondatore dell’ “antropologia del sacro”, si deve un’intuizione fondamentale, confermata da estesissime ricerche, della quale gli siamo debitori : l’uomo è essenzialmente tale più in quanto homo religiosus che in quanto homo habilis. Per lui la storia delle religioni è pertanto la ricostruzione dell’itinerario dell’ homo religiosus dal neolitico ai nostri giorni. In questo processo assume un ruolo fondamentale lo studio dell’esperienza cristiana, che Ries, cattolico, sacerdote e infine cardinale, vive in prima persona. Grazie a Ries, la cui biblioteca e il cui archivio personali si trovano adesso a Milano presso l’Università Cattolica, una parte decisiva della storia è uscita dall’angolo buio in cui era stata reclusa dal pensiero erede dei pregiudizi dell’illuminismo. Un’ottima introduzione alla sua monumentale opera omnia (650 titoli), che viene edita in Italia da Jaca Book, è il volume Il sacro nella storia religiosa dell’umanità, Milano, 1982.
In particolare per chi scrive fu infine decisiva la lezione di René Grousset e del suo Le bilan de l’histoire, Plon, Paris, 1946 (edizione italiana: Il bilancio della storia, Jaca Book, Milano, 1980). Narrare la storia nasce come modesto cespuglio all’ombra di questa foresta maestosa.

Robi Ronza
Coordinatore editoriale dell’opera

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