21 settembre 2015

La scrittura, strumento di conoscenza e autocoscienza

Qual è il compito della scrittura in una scuola che si prefigga l’obiettivo di incrementare la conoscenza e l’autocoscienza dei suoi docenti e dei suoi studenti?

Nel 2011 ha avuto avvio la scuola di alta formazione interdisciplinare per docenti liceali denominata Accademia con un corso residenziale, i cui testi sono stati pubblicati nel volume Conoscenza e compimento di sé in Matematica, Scrittura, Storia, Dante, a cura di E.Rigotti e C. Wolfsgruber, Fondazione per la Sussidiarietà, Milano 2014.

Proponiamo uno dei testi introduttivi ai lavori del corso, nel quale si mette a tema il senso dell’attività di scrittura. Presenta in modo efficace il perché di questo numero di Libertà di educazione. Ci interessa infatti riflettere e confrontarci sul valore dello scrivere in una società digitale e nello stesso tempo sulla valenza educativa e sulle modalità didattiche della pratica della scrittura nella scuola. Ringraziamo la prof.ssa Raffaela, preside di scuola media e autrice di testi sull’argomento, per questo suo prezioso contributo (M.R).

La scrittura, strumento essenziale di ogni disciplina, di ogni sapere strutturato e tramandato, ma anche di ogni attività razionale che voglia sfidare il tempo e lo spazio, è essenzialmente consegna del discorso a una dimensione di perennità.

In quanto discorso, essa è strumento di conoscenza prima ancora che di comunicazione: attraverso la denominazione il parlante conosce ciò che c’è, ne prende possesso.

Dare un nome alle cose è il compito del primo uomo, si pensi ad Adamo nella Genesi, è il compito di ogni uomo evocato dalla realtà a conoscerla, “confinandola”, dicendone il destino in rapporto a sé, riconoscendone l’alterità e la sua caratteristica di dato, di dono, dunque la sua positività. Collocare gli avvenimenti nel tempo, attraverso l’uso del verbo, significa riconoscerli parte di una storia, che ha un’origine e un destino, significa riconoscere sé come punto di osservazione della storia: prima di me, dopo di me, presente e futuro. Denominare gli oggetti, i concetti, le situazioni è dunque la prima azione conoscitiva che l’uomo compie. E il discorso ha a che fare con il proprio perfezionamento, con la propria vocazione di uomo, perché nasce dall’esigenza del giudizio, esigenza che l’uomo scopre in sé, come dato, fin dai suoi primi passi, quando inizia a parlare per mettersi in rapporto alle cose e agli altri. È mettendo in relazione nomi e verbi che l’uomo formula il giudizio (come ben illustrato da Platone nel Sofista e nelle prime pagine del trattato Sull’interpretazione di Aristotele), ovvero afferma la verità o la falsità, il senso della cosa in rapporto a se, alla sua attesa di compimento (adaequatio rei et intellectus, san Tommaso): “Essere ragionevole è trovare, nell’oggetto, nella situazione, nella sequenza lo spirito che li rende tali. Non è cosa facile, né semplice. È un’invasione dell’eterno, e viene fatto solo con la violenza di un rispetto assoluto per la verità” (O’ Connor 1993).

Oltre che strumento per favorire la presa di possesso della realtà, mettendola in rapporto con sé, il discorso favorisce anche l’incremento dell’autocoscienza: contemplando l’oggetto, la situazione, la sequenza di cui si scrive, si contempla lo strumento del dire; mentre lo scrittore costruisce il testo, scopre la sua ragione all’opera, coglie le possibilità offerte dalla strumentazione che gli è data per usarla nel pieno delle sue potenzialità (la lingua). Si stupisce di quel datum che è la lingua e di quell’organon, la ragione, che coglie e attesta nessi, pone domande, inventa mondi possibili, innesca catene inferenziali che producono conoscenza fondando la verità del dire ancora sulla verità del già detto.

L’eterno, origine della realtà di cui si prende possesso attraverso il discorso e della ragione che è data per coglierla nella totalità dei suoi fattori e nel suo significato ultimo, origine della lingua che è data per attestare questo processo … l’eterno è anche il destino del testo scritto. La scrittura si configura come attività che sfida il tempo e lo spazio, per consegnare ad altri il proprio personale tentativo di ricerca del vero, di comprensione del reale e di creazione di mondi possibili, per sottoporre alla ragione altrui le ragioni del proprio dire, il proprio giudizio.

In questo senso scrivere è un esercizio della virtù: il testo come impegno col destino di fronte al mondo, luogo di incontro con l’alterità: “Ma c’è un granello di stupidità del quale lo scrittore può difficilmente fare a meno: lo starsene a fissare senza andare subito al dunque. Più a lungo guardate un oggetto e più mondo ci vedrete dentro; ed è bene ricordare che lo scrittore di narrativa serio parla sempre del mondo intero, per limitato che sia il suo scenario” (O’ Connor 1993).

Scrivere di un particolare per scrivere del mondo intero e al mondo intero. In tal senso si scopre che il particolare evoca l’intera ragione di chi lo contempla, di chi lo vuole possedere nella sua profondità, l’impegno con il particolare è testimonianza del compito di ogni uomo, della sua vocazione alla totalità. Questa natura segnica della realtà si riflette nella natura propria del testo, che è il vero segno linguistico, non il singolo termine – che ha sì un certo potere conoscitivo, ma non comunicativo –, non la lingua in quanto codice, che non è un sistema di segni, ma un sistema segnico, la cui natura strumentale è cioè finalizzata alla costruzione di segni, ma il testo vero e proprio. In quanto segno, il testo ha il potere di mettere in relazione l’oggetto di conoscenza e lo scrittore mentre, contemplandola, attesta la sua scoperta della realtà, e al contempo lo scrittore e il lettore a cui è destinato il testo, che, a sua volta, interpretandolo, è messo in relazione con il tentativo di risposta alla domanda che origina il testo stesso. Una semiosi destinata alla totalità, cioè all’incontro con il senso della realtà, origine e fine dell’atto di scrittura.

Riflettere sulla didattica della scrittura ha dunque innanzitutto come scopo il riappropriarsi del senso di tale attività, del valore del testo scritto come atto conoscitivo e comunicativo, per sfidare la ragione degli studenti a mettersi all’opera cimentandosi in un’attività che per i più è sentita come ostica e arida. La scrittura non può essere infatti ridotta a mera tecnica e la sua didattica non può ridursi a fornire indicazioni e procedure da ritenersi sempre valide qualunque sia l’oggetto di cui si scrive e a prescindere da mittente e destinatario, che invece di essere considerati persone concrete e reali, con la loro esperienza, la loro storia, il loro cuore, sono ridotti a strategie testuali, come teorizzato da Umberto Eco 1979: “Quando un testo viene considerato in quanto testo, e specie nei casi di testi concepiti per una udienza assai vasta (come romanzi, discorsi politici, istruzioni scientifiche e così via), Emittente e Destinatario sono presenti nel testo non tanto come poli dell’atto di enunciazione quanto come ruoli attanziali dell’enunciato”.

Spesso nelle aule scolastiche il testo scritto è utilizzato alla stregua dei questionari per verificare l’apprendimento di nozioni, oppure è l’occasione per effondere i propri sentimenti e le proprie opinioni in nome di una malintesa libertà del dire. Nel volume “Conoscenza e compimento di sé in Matematica, Scrittura, Storia, Dante”, a cura di E.Rigotti e C. Wolfsgruber, vengono invece messe a tema le finalità e le condizioni di una reale esperienza testuale, a cui è sottesa una concezione di testo come “meccanismo metanoetico”, producendo e interpretando il quale avviene cambiamento dell’io, un riposizionamento dell’io rispetto alla realtà, una crescita della categorialità, cioè avviene conoscenza e autocoscienza: “Un evento comunicativo è uno scambio di segni che produce senso, dove per senso intendiamo il cambiamento delle soggettività coinvolte nell’evento comunicativo stesso, consistente in un loro diverso atteggiamento verso la realtà in senso lato. In altre parole l’effetto di senso è un fenomeno che colpisce la modalità con cui il soggetto si rapporta all’altro (il destinatario e le “altre cose”) (Rigotti e Cigada 2004).

Editoriale apparso su “Libertà di educazione” a cura di Raffaela Paggi

Riferimenti bibliografici

Eco U., 1979, Lector in fabula: la cooperazione interpretativa dei testi narrativi, Bompiani, Milano.

O’Connor F., 1993, Natura e scopo della narrativa in Id., Nel territorio del diavolo. Sul mestiere di scrivere, Theoria, Roma-Napoli.

Rigotti E., Cigada S., 2004, La comunicazione verbale, Apogeo, Milano.

 

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