13 ottobre 2014

L’insegnamento dell’italiano nella scuola secondaria di primo grado. Il dominio della testualità.

L’insegnamento dell’italiano nella scuola secondaria di I grado è considerato fondamentale in rapporto alla crescita culturale dello studente e all’introduzione delle diverse discipline in cui si articola il curriculum. La lingua infatti è lo strumento primario di incontro con la realtà, tanto che gli altri linguaggi vengono appresi se ricondotti alla lingua primaria. Se compito della scuola secondaria di I grtado è introdurre allo studio delle diverse discipline, essa deve dunque favorire il passaggio dall’uso inconsapevole della lingua, tipico dell’infanzia, alla consapevolezza dell’uso, condizione necessaria per affrontare studi secondari e per padroneggiare lo strumento principale di attestazione del pensiero, del ragionamento, del giudizio.
Ciò implica che gli insegnanti di tutte le discipline siano coscienti di essere responsabili della crescita linguistica degli studenti e si adoperino per ampliare il loro bagaglio lessicale e la loro capacità sintattica. L’insegnante di italiano ha però un compito peculiare rispetto agli altri docenti: rendere consapevole lo studente delle dinamiche della lingua che normalmente usa per comunicare e introdurlo nel patrimonio linguistico e testuale della nostra tradizione, con particolare attenzione al testo letterario, nel quale la lingua si mostra in tutta la sua potenzialità comunicativa ed estetica per incarnare i significati ultimi dell’esistenza.

Si potrebbe dire, e proverò ad argomentarlo, che di fatto è una la competenza cui mira l’insegnamento dell’italiano. La chiamerò il “dominio della testualità”, sfruttando la polisemia del termine “dominio”. “Dominio” come oggetto di conoscenza specifico di una certa disciplina, nel caso dell’italiano il testo: finalità dell’insegnamento è insegnare a comprendere e interpretare vari tipi di testo; “dominio” come padronanza, dunque capacità di produrre testi corretti, congrui e significativi. La consapevolezza dello strumento principale per comprendere e produrre testi, cioè la lingua, è da considerarsi funzionale a tale dominio. Ciò non esclude, anzi, che nella didattica la riflessione linguistica, la lettura e la produzione testuale si svolgano in occasioni separate, in lezioni e attività dedicate esplicitamente a ciascun ambito, ma concettualmente non sono irrelate.

Tale unità però non è scontata, accade a determinate condizioni ed è frutto di una didattica pienamente consapevole delle sue scelte, sia per quanto riguarda i contenuti sia in relazione ai metodi di insegnamento e apprendimento. Tre sono, a mio parere, le condizioni per ricondurre a unità l’insegnamento dell’italiano, altrimenti piuttosto frammentario e difficilmente percepibile come unitario da parte degli studenti:

  1.  la qualità dei testi proposti;
  2.  il metodo di insegnamento della grammatica;
  3. lo spazio dedicato all’oralità e alla scrittura.

1. La qualità dei testi proposti

Prima condizione di una didattica unitaria dell’italiano è la scelta dei testi proposti, siano essi manuali di studio o testi letterari.

I manuali in circolazione nella scuola secondaria di I grado peccano spesso di eccessiva schematicità, non curano la congruità, l’articolazione del discorso, il lessico, in nome di una mutata modalità di lettura degli studenti che sarebbero portati, per influenza delle nuove tecnologie, a imparare a spot, a frammenti. Da qui un eccesso di immagini, stralci di testo disposti in modo non consequenziale sulla pagina, che vorrebbe riprodurre così la pagina web accattivando lo studente. Ciò non aiuta in nessun modo lo studente a dominare il testo.

Anche un certo modo di proporre testi letterari da parte di docenti e antologie ha fuorviato spesso gli studenti da una autentica esperienza di lettura: la pagina pur bella, ma decontestualizzata, il frammento d’autore, il saltellare da un brano all’altro, non favoriscono la comprensione del significato e dei significati testuali, che, soprattutto se si tratta di testo narrativo, necessita di un tempo disteso di introduzione nel mondo possibile rappresentato, fatto di personaggi, luoghi, contesti temporali, scelte espressive e stilistiche, riflessioni dell’autore…
Per favorire una reale esperienza di lettura e, conseguentemente di introduzione alla complessità dei contenuti disciplinari e alla letteratura, occorre scegliere con molta cura i testi. Insieme alle spiegazioni, alle narrazioni, alle argomentazioni dei docenti, i libri di testo sono infatti il modello di testualità, le fonti di nuovo lessico e di categorie (strumenti di lettura della realtà), nonché di modelli sintattici e organizzativi del pensiero e del ragionamento. Occorre scegliere testi la cui articolazione sia ben forgiata ed esplicita, ricchi di connettivi capaci di condurre il filo del discorso, legando le mosse della ragione all’opera nel testo.

Nella mia esperienza didattica molto impegno è stato profuso nella scelta dei testi soprattutto narrativi ed epici. Perché la narrazione è fondamentale in un percorso che voglia condurre all’argomentazione e l’epicità è quanto di più corrispondente all’”irrompere del propriamente umano” (Maria Zambrano) tipico dell’età delle medie. Le indicazioni ministeriale non impongono di proporre nella scuola secondaria di I grado un percorso di storia della letteratura (gli studenti non hanno ancora peraltro le categorie necessarie per affrontarlo), bensì invitano a introdurre lo studente al mondo letterario leggendo “testi letterari di vario tipo e forma (racconti, novelle, romanzi, poesie, commedie)”. I docenti sono dunque liberi di scegliere un percorso di letture attingendo nello sconfinato repertorio di testi letterari.

Ecco alcuni criteri di scelta che si sono nella mia esperienza didattica rivelati efficaci in ordine all’unitarietà dell’insegnamento:
– La classicità, intesa come riconoscimento dato dalla tradizione letteraria e culturale ad un testo in forza della sua capacità di parlare all’uomo di ogni tempo. È spesso preoccupazione degli insegnanti quella di seguire le mode del momento pur di invogliare i ragazzi a leggere, mentre dovrebbe interessare loro che gli studenti leggano non multa sed multum, cioè non tanti libri, o peggio stralci di testi, ma testi che davvero divengano pietre miliari nella loro formazione esistenziale, linguistica e culturale. Di grande bellezza e utilità in tal senso si è sempre rivelata nel mio insegnamento la preferenza accordata ai poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, proposti in versi, salvaguardando l’integralità della trama pur operando delle scelte di brani. Tali poemi offrono al lettore modelli di consistente spessore, exempla che incarnano i valori e gli ideali della tradizione greca e latina all’origine della nostra, in uno stile di narrazione e di presentazione dei personaggi solare, senza la duplicità, il sospetto, l’inautentico propri dello psicologismo. Un mondo di ideali espresso in uno stile nitido, particolarmente adatto al ragazzo che si sta aprendo alla complessità della vita e percepisce di non avere gli strumenti adeguati per comprenderla e per affrontarla.
– Un secondo criterio è il genere di appartenenza dei testi, in quanto ogni genere ha in sé una particolare valenza educativa e un’età ideale a cui essere proposto. Il percorso da me e da altri docenti seguito nell’introduzione alla narrativa parte dai generi più fantastici e avventurosi (fiabe, favole, miti e leggende, racconti d’avventura, racconti di fanciulli), in prima e seconda media, per condurre gli studenti in terza media a leggere e interpretare, guidati dal docente e anche autonomamente, opere realistiche o comunque più impegnative dal punto di vista linguistico, narrativo ed esistenziale (racconti gialli, autobiografie, biografie, short stories e romanzi). La pluralità dei generi proposti è funzionale alla scelta del proprio genere ideale: non si è liberi di scegliere se non si conosce! Può essere utile individuare in ogni genere che si vuole proporre il suo classico (nella mia scuola ad esempio sono stati scelti: Lo hobbit di J.R.R. Tolkien per il fantasy, L’isola del tesoro di R. L. Stevenson per il racconto d’avventura, Il buio oltre la siepe di H. Lee per l’autobiografia romanzata, Il mastino dei Baskerville per il poliziesco…), condividerne la lettura integrale con gli studenti offrendo loro un termine di paragone per la lettura di altri testi dello stesso genere.
– Introdurre gradualmente i differenti generi è un’esigenza connessa a un altro importante criterio di scelta dei testi, ovvero la tipologia di problematiche in essi presentate e affrontate e di conseguenza il grado di difficoltà di interpretazione anche linguistica. Un testo si configura infatti come tentativo di risposta a una domanda sottintesa: se questa domanda non è ancora sorta nel lettore, il testo risulterà poco attraente e la lettura sarà al massimo un esercizio didattico con, peraltro, scarsi risultati. È altresì vero che un testo deve anche essere in grado di stimolare la curiosità e smuovere interrogativi nel lettore, che altrimenti lo lascerà cadere nell’oblio.
La scelta consapevole dei testi letterari da parte del docente è condizione necessaria ma non sufficiente affinché la lettura sia educativa e stimolante la ragione. Occorre infatti tradurre in pratica didattica l’attività di lettura in modo da favorire il coinvolgimento dello studente. Innanzitutto andrebbe superata l’idea di lettura come occasione strumentale esclusivamente finalizzata all’apprendimento delle tecniche di scrittura o ancor peggio come spunto per parlare di tematiche stabilite a priori, scadendo facilmente nel moralismo o nell’ideologia. Inoltre è facilmente verificabile che per entrare nelle pieghe del testo, per interpretarne il senso e i significati, per gustarne la modalità con cui è scritto, le scelte linguistiche dell’autore, occorre tempo, fedeltà. Contro la logica dell’usa e getta, andrebbe dunque evitata la lettura in classe di stralci di testo estrapolati dal contesto dell’opera nella sua interezza, il passare da un testo all’altro senza che siano espliciti i nessi di un percorso: il lettore deve avere il tempo necessario per l’immedesimazione e dunque per la comprensione del testo. La lettura del testo diviene esperienza di conoscenza e di comprensione se implica la ri-lettura, intesa come attività diversificata (scrittura, ri-scrittura, illustrazione, recitazione…) in ordine a una comprensione approfondita del testo, a partire dall’ipotesi di senso che inevitabilmente si formula a una prima lettura, fino al paragone con la propria esperienza di vita e con le problematiche effettive dei lettori concreti presenti in classe. Ciò implica che non si possa stabilire a priori una batteria di esercizi validi sempre e in ogni occasione per il testo letto, o che l’insegnante imposti la lezione come spiegazione di tutti gli aspetti impliciti nel testo di cui lo studente è passivo ricettore: l’insegnante proponga un percorso di letture in base a obiettivi prestabiliti, con l’occhio vigile alle problematiche effettive dei suoi studenti e con l’accortezza di guidarli in un lavoro teso a far diventare esplicito ciò che nel testo è implicito, favorendo così in ciascuno una reale e personale esperienza di svelamento del senso e di ampliamento della categoria della possibilità. Tale lavoro su testi paradigmatici condotto in classe può rivelarsi in grado di stimolare il gusto della lettura personale, in quanto i ragazzi imparano un metodo di lettura coinvolgente e in grado di lanciarli autonomamente nel “calderone” del racconto e della poesia, con libertà e spirito critico.

2. Il metodo di insegnamento della grammatica.

La fruizione dei testi è strettamente connessa alla crescita della consapevolezza linguistica, in quanto l’interpretazione del testo, che ha natura di segno, implica il coinvolgimento con tutte le componenti del significante, per non ricadere in una scissione tra forma e contenuto pericolosa per lo sviluppo linguistico e cognitivo. Occorre pertanto nella scuola secondaria di I grado dedicare un tempo consistente ed effettuare lezioni appositamente dedicate alla riflessione sulla lingua, concentrando l’attenzione nella scuola secondaria di I grado soprattutto su due aspetti: la morfosintassi e il lessico.

Per quanto riguarda l’aspetto più propriamente grammaticale il docente non può non porsi la domanda circa quale grammatica insegnare, la grammatica essendo un metodo per indagare e per sistematizzare le conoscenze di quell’oggetto vasto e a tratti misteriosi che è la lingua. La formazione dei docenti non sempre prevede una valida conoscenza delle conquiste della linguistica del secolo scorso (mi riferisco in particolare alle scoperte sulla sintassi in ambito strutturalista, funzionalista, generativista, valenziale…), e l’unica grammatica che si conosce è generalmente quella normativa incontrata durante la propria carriera scolastica, fino alle medie, o quella latina al liceo. Ma dalla linguistica recente provengono suggerimenti di metodo preziosissimi per la didattica della grammatica nella scuola, senza necessariamente vincolarsi a una sola teoria o abbandonare la grammatica tradizionale.

Mi riferisco ad esempio alle due categorie fondamentali nello strutturalismo (da Saussure in poi) della combinazione e della selezione: procedimenti basilari per la formazione dei segni linguistici, da cui nasce il concetto di sintagma. Ogni elemento del testo infatti concorda o è retto o intrattiene un nesso logico con altri elementi in unione con i quali forma i sintagmi, combinazioni significative di parole, e ogni elemento è scelto in un paradigma di possibilità equivalenti in ordine alla funzione comunicativa, al rapporto con il messaggio che si vuole comunicare, alla tipologia testuale, alle leggi intertestuali. Tenere in considerazione nella didattica tali categorie significa privilegiare ad esempio la conoscenza e il riconoscimento delle parti del discorso e dei sintagmi all’opera nei testi, nei primi anni di scuola primaria insistendo sull’uso corretto degli stessi, in seguito (tra la quarta primaria e la prima media) procedendo a una sistematizzazione delle regole combinatorie e dei criteri di classificazione delle parti del discorso e dei sintagmi, sempre a partire dall’osservazione delle strutture in azione nei testi.
Un’altra interessante acquisizione viene dalla grammatica valenziale di Tesnière, che considera il verbo vertice sintattico della frase, intorno al quale le strutture si organizzano al fine di completare il senso del verbo svolgendo particolari funzioni obbligatorie o accessorie in base alle aspettative insite nel verbo stesso. Indagare i nessi all’opera nella frase e le funzioni dei vari sintagmi, allorché lo studente inizia ad uscire dall’età infantile (siamo circa in seconda media), lo aiuta a diventare consapevole delle categorie di pensiero della cultura in cui e di cui vive, degli strumenti cioè di cui la tradizione culturale lo ha dotato, anche e soprattutto attraverso la lingua e i testi.

E ancora dalla pragmatica proviene l’attenzione alla situazione comunicativa: le strutture vengono organizzate dal parlante per produrre atti comunicativi in particolari situazioni, per ottenere determinate finalità, e ciò implica che lo studio della grammatica di una lingua non possa prescindere dal rapporto esistente tra parlante, testo e contesto.
L’ora di grammatica dunque può essere un momento fondamentale dello sviluppo del “dominio della testualità”, cioè della consapevolezza del proprio pensiero e del proprio ragionamento, a condizione che l’insegnante non si limiti a dare le norme che devono poi essere applicate meccanicamente nell’esercizio personale e ad addestrare gli studenti all’analisi grammaticale e logica. Occorre a tal proposito che la lezione si configuri come scoperta guidata dei fatti linguistici in atto nei testi e di esercizio diversificato al fine di fornire più di una strada per conoscere lo stesso fenomeno. Esercizi validi, oltre alla tradizionale analisi morfologica e sintattica, sono il riconoscimento della struttura nella frase, la produzione di testi per utilizzare le strutture conosciute anche con funzioni diverse, la traduzione di una struttura in strutture sinonimiche, la lettura di testi umoristici o pubblicitari basati su giochi linguistici accompagnando gli studenti a esplicitarne la logica sottesa, la correzione di testi mal formulati chiedendo ai ragazzi di dar ragione dell’errore e di proporne la correzione argomentando le proprie scelte.
È infatti importante che si eviti il pericolo del meccanicismo nello studio della lingua, in quanto non vi è nulla di più lontano dalla sua natura, essendo uno strumento dato all’uomo per attestare nella libertà il suo rapporto con il reale e con sé stesso.

L’educazione alla criticità passa anche da un altro aspetto della riflessione linguistica, ovvero la presa di coscienza delle potenzialità sintattiche e semantiche delle classi del lessico (le tradizionali parti del discorso) e della semantica del lessico. L’analisi delle parti del discorso non deve essere assoggettata dall’ansia classificatoria, ma deve essere occasione per scoprire la potenzialità conoscitiva e comunicativa di ognuna delle classi del lessico, approfondendo quanto gli studenti hanno appreso, quasi per osmosi, nella scuola primaria.
Per quanto riguarda la semantica del lessico ho maturato la convinzione che non si studi il lessico parlando delle parole, ma mettendo a tema le “cose”, cioè gli oggetti e i concetti. Sicuramente esistono dei fenomeni linguistici che vanno indagati con gli studenti a livello di sistema (formazione delle parole, organizzazione del lessico in campi semantici, relazioni fra i significati delle parole…), ma la consapevolezza lessicale matura in context: sorprendere le parole nei testi e restituire loro il giusto spessore semantico, anche facendo ricorso all’etimologia, quando è di aiuto. Spesso infatti la povertà lessicale che gli insegnanti lamentano nei loro studenti non è dovuta tanto a una mancanza di termini nel loro vocabolario, quanto a una mancanza di esperienza relativa a tali termini, che va favorita e richiamata alla coscienza.

3. Lo spazio dedicato all’oralità e alla scrittura.

La crescita della consapevolezza linguistica, culturale, esistenziale trova un prezioso strumento nella produzione di testi scritti e orali. Essa è infatti occasione, ancor prima che di comunicazione, di crescita della consapevolezza di sé in rapporto agli oggetti di conoscenza. L’io si struttura nel rapporto con ciò che incontra, e conoscendo desidera dirsi e comunicare. Va quindi favorita nella pratica didattica la produzione di testi scritti e orali che narrino il vissuto, attestino le costruzioni della fantasia, giudichino quanto viene proposto alla conoscenza, convincano il lettore della fondatezza di una propria riflessione.

La scrittura e l’oralità non vanno infatti considerate esclusivamente in funzione della comunicazione di quanto è stato imparato (l’interrogazione e la verifica), ma devono essere considerate quali momenti privilegiati di costruzione del sapere e di ricerca, a cui dedicare spazio adeguato nell’attività didattica. In ordine a tale finalità, si dovrebbe pertanto strutturare un percorso che gradualmente conduca il ragazzo ad affrontare varie tipologie testuali, da quella narrativa ed espositiva (versione in prosa, riassunto, racconto di un’esperienza, relazione di un’attività, ma anche invenzione di un testo letterario a partire da un modello dato), a quella lirico-descrittiva (dalla ricerca della parola per dire la cosa al frammento lirico, alla composizione di poesie liriche), a quella argomentativa (soprattutto in terza media e con una grande cura nel formulare il titolo da parte del docente), sempre e comunque attenti a non scadere nel verbalismo e nell’esercizio di una retorica avulsa dal senso: non esiste testo dove non si istituisca un nesso tra significante e significato e tra segno linguistico e contesto. È anche importante sottolineare come una didattica consapevole non si limiti a proporre strategie di scrittura, peraltro in molti casi utilissime, ma sia forma di incoraggiamento, sostegno, correzione nella produzione di testi (molte sono le esperienze positive di laboratori di scrittura e oralità a cui ci si può ispirare e che dimostrano che il modo migliorare per imparare a scrivere e parlare sia farlo insieme, docente e studente).

La meta di un siffatto percorso di scrittura e oralità va considerata la prova di italiano nell’esame finale, che prevede ancora il “tema” e il colloquio pluridisciplinare. Da qualche anno rivalutato in ambito scolastico, il “tema” rimane infatti uno dei segni più importanti di maturazione del “dominio della testualità” in quanto attesta la capacità raggiunta di costruire un discorso in proprio intorno a un argomento dato, nel rispetto dei requisiti formali e logici della testualità (correttezza e congruità). Tale capacità, per certi aspetti verificabile anche nel momento del colloquio orale, non si improvvisa, ma è frutto di un lungo lavoro che inizia nella scuola primaria, con la quale occorre senza esitazioni dialogare al fine di ipotizzare percorsi sensati e non contraddittori, per favorire uno sviluppo armonico e senza intoppi della testualità.

Una didattica volta a sviluppare una competenza unitaria che contempli lo sviluppo delle abilità sia linguistiche sia testuali, deve in ultima analisi tener conto che la disciplina “italiano” ha come dominio i testi, cioè i segni linguistici, formati dall’unione di significante e significato, l’interpretazione e la produzione dei quali o si riduce a decodifica e applicazione di norme e procedimenti dati (come nella segnaletica stradale) o si configura come ricerca del senso, che nei testi è al contempo celato e svelato. Tale ricerca è sicuramente più rispettosa della natura della ragione umana e pertanto ne facilita lo sviluppo, favorendo al contempo la crescita della consapevolezza linguistica, in quanto la lingua è lo strumento principale della ragione, e la capacità di dominare testi, in quanto il testo è la forma più usuale di esplicitazione e comunicazione del pensiero e del ragionamento.

ASLI scuola – Roma, 29 settembre 2014. Trascrizione dell’intervento di Raffaela Paggi

 

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